Fedeltà                              

Di mio padre non so niente. Della mamma, invece, so. Era una pastora tedesca. Da lei ho ereditato la forza fisica e anche un po’ di coraggio, modestamente.

Non ho il dono della parola, al massimo, abbaio, e solo se strettamente necessario. Però, non sono scemo e certe cose le capisco. Per esempio, capisco che il mio padrone è orgoglioso del mio pelo lucido e se ne vanta con gli amici, come fosse suo (il pelo). Invece lui di peli ne ha pochi, è un tipo giallognolo e si ammala spesso; ma ha un nome forte, si chiama Aiace. A me, invece, hanno dato il nome di Fufi. Pensate un po’, il figlio di una pastora tedesca che si chiama Fufi… Va beh, sorvoliamo.

Il mio padrone si aspetta da me una grande fedeltà. Noi non abbiamo bisogno di giurare fedeltà come fanno i carabinieri, perché la fedeltà ce l’abbiamo nel sangue, insomma per noi, la fedeltà, è molto naturale, anche se, in certi casi, può avere un limite.

Il mese scorso il mio padrone e la sua signora che, al contrario di lui, è ben messa, sono andati in vacanza, al mare. Beati loro! In questa circostanza, chissà per quale motivo, hanno deciso di scaricarmi: mi hanno legato con una catena a un albero e vi hanno affisso un cartello sul quale c’era scritto: "Abbiate cura di questo cane. Si chiama Fufi." Mi hanno lasciato lì, in aperta campagna, e se ne sono andati. Verso sera, è venuto un vecchio che ha detto "Povera bestia" e mi ha slegato.

Io, dapprincipio, ero un po’ diffidente, ma poi ho capito che ‘sto vecchietto era una brava persona, infatti mi ha portato a casa sua e mi ha dato una ciotola di pasta e fagioli. Pasta e fagioli, normalmente, a me fa piuttosto schifo, ma, con la fame che avevo, m’è parsa una leccornia.

Sono, ormai, trenta giorni che sto con questo vecchio. Ogni tanto, penso al padrone di prima e, ieri, ai mercati generali, ho sentito il suo odore.

Porca miseria, per noi la fedeltà è proprio una palla al piede! Ho avvertito forte l’istinto di seguire la pista. Che faccio? mi sono chiesto. Ero assai dibattuto, tanto da provare un malessere fisico simile alla nausea, ma, alla fine, ha prevalso il buon senso e sono rimasto col vecchio...

 

Lo sgarro                                

"Lo sgarro c’è stato, ok? - aveva detto Joe l’Americano - ed è meglio per te se per un po’ ti levi da mezzo. Ti consiglio di andartene in un’altra città, ok? In un altro paese, magari in un altro continente. Ok?" Ma, Carmelo, in vita sua, non se l’era mai fatta sotto di fronte a niente e, infatti, li aspettava. S’immaginò la scena. Sarebbero venuti: l’Avvocaticchio, Giacomone e Mezzarecchia.

"Don Ciccio ti vuole parlare." Avrebbero detto.

L’avrebbero fatto salire nella Mercedes dell’Avvocaticchio. L’avrebbero portato sul fiume e lì, tra le canne, gli avrebbero sparato a una tempia. L’avrebbero incaprettato e gli avrebbero messo in bocca un cardellino morto.

Oppure, lo avrebbero incaprettato, gli avrebbero messo in bocca un cardellino morto e, poi, lo avrebbero sparato a una tempia.

 

 

 

                                                                                                                           

Diversità                                                         

Sono alto 95 centimetri (anche se nella scheda hanno scritto 94), sono coperto per intero da peli neri, ho gli occhi gialli e un organo genitale molto grande; tanto è vero che sono costretto, affinché non strusci per terra e si sporchi, a tenerlo legato al collo con uno spago. In pratica, sono un mostro. Cioè, loro dicono che sono un mostro, perché sono diverso. Ma, a rigor di logica, anche loro sono diversi da me e, quindi, come tali, sono mostri, dal mio punto di vista. Io, però, non uso mai questo appellativo, perché sono molto educato e gentile.

Per motivi morali (sono grandi produttori di motivi morali), mi hanno ordinato di starmene chiuso in casa e di non mettere mai il naso fuori dalla porta.

Ogni giovedì mi vengono a prendere con un furgoncino e mi conducono in un edificio distante dalla città quattro chilometri circa. Mi fanno entrare in una stanza e mi lasciano lì, da solo, per un paio d’ore.

Qui, in questa stanza, c’è ogni ben di dio: cioccolatini, paste fresche, riviste, giochi e un televisore, sempre acceso, che trasmette film pornografici.

Io ho capito che loro mi osservano con telecamere nascoste e ho anche capito che vorrebbero che mi masturbassi, in tal modo, potrebbero prelevare un po’ del mio seme e studiarlo al microscopio.

Ma, non lo faccio; la cosa mi imbarazzerebbe, benché, devo dire, che non mi riesce di evitare l’erezione.

 

La sorella                          

Lui, il prete, era un uomo mite, timido. Lei, Tilde, la sorella, era, invece, intraprendente e aveva grandi capacità manageriali, tanto è vero che, da quando aveva preso in mano le redini dell’azienda, il fatturato s’era triplicato e, entro l’anno, l’azienda sarebbe entrata in Borsa nel Nuovo Mercato.

Un giorno chiese al fratello quale sarebbe stata la sua sorte dopo morta. Il prete disse: "Il paradiso te lo puoi scordare. Forse, con opere di bene, potrai ridurre il tempo di permanenza nel purgatorio."

Fu allora che Tilde convocò in assemblea le maestranze. Dopo una breve premessa, venne subito al dunque: "Desidero - disse - che facciate un’ora di lavoro non retribuito. Un’ora sola la settimana. I proventi, calcolati al netto delle tassazioni, saranno devoluti alle famiglie non abbienti della città."

 

La classe                            

Walter è stato il ragazzo di tutte le mie amiche. Io, invece, ho dovuto saltare il turno, perché lui ha detto che sono un cesso.

"Cesso", proprio così ha detto. Non è stato carino. Pazienza.

Però, non è vero che sono un cesso, perché, da più fonti, so di essere graziosa, giudiziosa e, anche, spiritosa (qualche volta), comunque ottimista.

Le fonti? E’ presto detto: innanzitutto, zia Adelaide, poi Orsola, la nostra collaboratrice domestica, che è un po’ claudicante, ma intelligentissima; infine il professor Petrella (quarto piano, scala B), che è un meridionale, ma pulitissimo.

Una volta, incontrandomi nelle scale, il professor Petrella mi chiese se gli facevo il favore di toccarlo. Io andavo di fretta, perché ci avevo la lezione di pianoforte. "Quanto ci vorrà, all’incirca?"

"All’incirca una decina di minuti."

"Allora va bene."

Dopo, alla fine, il professor Petrella disse che si vedeva che ero alle prime armi, ma che ci avevo un tocco di classe. E questo, francamente, fa piacere sentirselo dire, perché la classe non è acqua.

 

 

Il ricordo                               

Elisa era ricca, ricchissima e, forse, bella. Ma sì, era ancora bella!

Le piaceva starsene distesa, al sole, completamente nuda, leggere un buon libro e fumare una Davidoff di fronte al mare.

Verso l’una, un vento caldo di scirocco portò una nuvolaglia gravida di pioggia e disciolse un grumo della memoria.

La stessa luce, la stessa nuvolaglia livida. Era il maggio odoroso.

Giocavano a nascondino. Sempre allegro zio Sergio, il fratello della mamma. Sempre divertente! Nonostante fosse gobbo.

Venne la pioggia forte. Ripararono nel fienile. E, lì, nel fienile, per gioco, zio Sergio, la stuprò.

Elisa aveva undici anni, in quel maggio odoroso.

 

100 $                              

Alcuni sostengono che la tariffa (cento dollari), sia piuttosto alta per la mia età. Però, vi assicuro, che faccio il mio lavoro con coscienza.

Ieri, verso le sei del pomeriggio, è venuto un tale, uno che non avevo mai visto prima, un tipo simpatico, con gli occhiali e un cappello floscio. Ha detto di essere uno scrittore e che stava scrivendo un libro sulle puttane.

Mi ha chiesto se, nel tempo necessario per fare l’amore, con la stessa tariffa, gli facessi il favore di raccontare la mia storia.

"Guarda - gli ho detto io - la mia storia è lunga e ci vorrà almeno il doppio del tempo. Allora mi ha detto: ‘cerca di essere concisa, perché dispongo di soli cento dollari’. Va bene, farò del mio meglio."

"Dunque, io sono nata in una famiglia agiata, ma, dopo la morte della mamma, mio padre ebbe un tracollo finanziario. Allora ci convocò (ho due sorelle e un fratello) e ci disse: ‘Ragazzi, datevi da fare, perché io non vi posso più mantenere. Mi dispiace.’ Io trovai lavoro come entreneuse in un locale e divenni subito la donna del padrone, che mi amava e mi picchiava, mi picchiava e mi amava. Dopo un anno, gli venne un cancro al fegato e morì. Il locale venne chiuso e dovetti fare l’esperienza della strada, che è un’esperienza molto dura, ma avevo bisogno di soldi perché, all’epoca, stavo con uno studente al quale facevo molti regali. Un certo Mimmo, detto Il Biondino. Sennonché, un bel giorno, ‘sto biondino si sposò e non volle saperne più niente di me. Allora pensai di mettermi in proprio e misi su questo ambientino che è niente male, come puoi constatare. Ora, onestamente, non mi posso lamentare, perché ho una clientela molto selezionata e per bene."

Mentre parlavo, lui, lo scrittore, scriveva su un taccuino. Ma, alla fine, mostrò un’espressione di completa insoddisfazione, per cui, per non deluderlo troppo, mi inventai un fatto strepitoso. Gli dissi che la mia giornata di lavoro termina normalmente alle undici di sera, in quanto, verso la mezzanotte, mi appare una signora bellissima in una luce azzurra azzurra, come il cielo e con una corona di stelline dorate sulla testa e che è la mamma di Gesù, cioè la Madonna.

Ve l’ho detto: faccio il mio lavoro con coscienza.

 

 

Mittelbewusstsein               

Buongiorno. Sostituisco la voce narrante, che ha avuto un contrattempo e vengo subito al punto.

Dunque: lui, per l’ultimo dell’anno, le regalò una collana di perle orientali e un abito firmato da un famoso stilista. Lei ne fu felice e l’indossò. Lui la pregò di andare su e giù per il salone, come per una sfilata. Lei lo fece con grazia.

"Sei divina." Lui disse.

"Grazie. E tu sei tanto caro." Disse lei.

Poi lo pregò di leggerle qualcosa di bello. Lui, con voce calda e profonda, le lesse un racconto di Cechov. A mezzanotte, brindarono con Moet et Chandon, accesero le torce e si baciarono.

"Buon anno, amore mio."

"Buon anno a te, stellina."

Andarono a letto, ognuno nella propria stanza. Quella notte dell’anno 2000, fecero un bel sogno: sognarono di fare l’amore. Lui con Rituccia, la domestica, lei con Lucariello, il garzone del macellaio.

Qui, però, devo dire che la voce narrante, che mi ha pregato di sostituirla, è stata un po’ confusa, perché non ricordava se i sogni fossero andati proprio in quel modo. "Forse - ha detto - lui ha sognato di fare l’amore con Lucariello, il garzone, e lei con Rituccia, la domestica. In ogni caso è stato un bel sogno."

 

 

 

 

Congiuntivite                 

Una brutta congiuntivite! Per questo non era potuto andare all’inaugurazione.

Lo avrebbero invitato al tavolo degli oratori, con la medaglia sulla giacca bene in vista. Lui avrebbe detto: "Però non mi fate parlare, perché mi emoziono."

"Va bene, compagno, come vuoi. L’importante è la tua presenza, stasera!"

La mostra della Resistenza era stata allestita in un salone di Palazzo Reale. Ci andò due giorni dopo.

Centoventi quadri. I soliti temi. Trovò il ritratto di Marta. Un’opera di Andrea Sparaco. Un buon lavoro.

Marta gli aveva insegnato a ballare il tango, a leggere Gramsci e a fare l’amore.

Insieme avevano combattuto i Tedeschi, sui monti dell’Appennino. Lei, su quei monti, ci aveva lasciato la vita.

Stava là, da solo, nel grande salone, da più di due ore. Non era entrata anima viva. E a chi poteva fregare più la Resistenza?

Si asciugò una lagrima.

"Maledetta congiuntivite!". Disse.

 

                                                                                  

Il progetto                            

"Hai l’aria di una che è troppo sicura di sé e questo scoraggia i clienti."- Disse Roberto.

"Fanculo.." Disse Veruska.

Sicura di sé? Chissà. Certo che aveva un progetto: fare il mestiere ancora per un anno e, poi, aprire un ristorantino a San Pietroburgo, dove vivevano la mamma e Fjodor, il fratellino poliomielitico. Invece si ammalò e morì, al San Camillo, in Roma.

Roberto la sostituì con un’altra dell’Est. Una tutta pipì, che sembrava allora uscita da un collegio di monache.

 

                                                                                  

Amiche                                   

Mai una volta che fossi risultata la terza, che so?, la seconda. Mai! Sempre la prima. In tutte le materie. Sempre, ogni anno: alle medie, al ginnasio, al liceo. Sempre!

Mai che non l’avessi vinta tu la coppa della corsa campestre!

I capelli sempre a posto. I vestiti eleganti; capi classici, si capisce. Hai gli occhi verdi, la pelle liscia, manco l’ombra di cellulite, le tette all’insù e parli perfettamente l’inglese e il tedesco. Le tue creme chantilly coi frutti di bosco sono squisite e hai sposato Adriano, che mi piaceva un sacco. E a chi non piaceva? Il più bel figo della città! E chi se lo poteva pappare il più bel figo della città? Tu, naturalmente. E, ora, ne sei pure incinta. Cristo!

Io sono la tua migliore amica. Tu sei la mia migliore amica. Sapessi quanto ti odio!

 

Uomo solo                            

Guardò l’orologio. Erano passate le undici.

"Niente tornerà mai come prima." Pensò.

"Sono stato felice e non lo sapevo."

"Sei una povera illusa!" Aveva detto a Gabriella, per ferirla.

Lei, con la voce rauca, la spalla destra un po’ pendente per via della valigia pesante, vicino alla porta, già aperta, aveva gridato:

"Preferisco vivere su uno scoglio, aspettando il Rex, come una povera illusa, piuttosto che star qui… in questa merda, a contemplare…"

La rabbia le accendeva gli occhi e sembrava ancora più bella. Con la bocca impastata per la saliva piena di bile, cercava una parola definitiva.

"A contemplare il tuo nulla!" Disse.

 

index.